Simone Marchesi |
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Tra i personaggi ctonii che la Commedia eredita, con poche trasformazi oni, dall'Eneide, il primo che si incontra è Caronte, in Inferno 3. (1) Sul fatto che in questo caso Dante costruisca personaggio ed episodio lungo le linee dell'incontro di Enea con il virgiliano portitor horrendus non ci sono mai stati dubbi. Tutti gli elementi della descrizione di Caronte (effictio, notatio, sermocinatio e, non ultima, onomastica del personaggio), insieme alla sostanziale identità ; dell'azione a cavallo dei due episodi, hanno portato a vedere la continuità tra Eneide e Commedia come un dato naturale ed assoluto. A fronte di una serie di corrispondenze biunivoche tra i due testi paralleli, quindi, ha dato origine a non pochi interrogativi la scelta di Dante di introdurre una discrepanza con il proprio modello, decidendo di non narrare la traversata dell'Acheronte, ma di organizzare al suo posto lo svenimento del protagonista ed il suo risveglio al di là del primo confine geografic o dell'inferno. L'ellisse nella narrazione, difficilmente giustificabile quando si consideri il rapporto tra Eneide e Commedia come una semplice trasposizione, ha dato origine a varie ipotesi, che hanno implicato di volta in volta l'intervento di Caronte stesso, "o di un angelo, o di Virgilio, o di Beatrice, o di Lucia." (2) La risposta più semplice alla questione sollevata dal silenzio di Dante sulla meccanica dell'attraversamento dell'Acheronte è fornita da Hollander: il personaggi o giunge dall'altra parte traghettato da Caronte e l'ellisse della narrazione è determinata dalla necessità poetica per la Commedia di distaccarsi dal proprio modello, riservando ad un secondo momento, all'altezz a di Inferno 8, la descrizione dell'attraversamento di un confine fluviale, modellata chiaramente, stavolta, sulla scena virgiliana. (3) La relazione tra i due testi non si ferma, tuttavia, qui: la strategia di differimento degli elementi narrativi dell'episodio eneadico di Caronte è da mettere in relazione ad un più vasto fenomeno di diffrazione nella trasposizione di materiale dall'Eneide alla Commedia sia a livello d'intreccio sia, più sottilmente, a livello linguistico. Il recupero dantesco dell'episodio di Caronte in Eneide 6 passa, infatti, attraverso un processo di frammentazione e riuso, che ha il risultato di disseminare il materiale virgiliano in contesti che possono apparire sorprendenti, ma non sono irrelati. Se leggere Caronte dalla prospettiva di Flegiàs permette di vedere come la memoria dell'Eneide ritorni nel contesto di una scena che ripete così da vicino la dinamica di Inferno 3 da impedire, retrospettivamente, un suo pieno utilizzo nella prima sede, il valore della complessa trama di rimandi intertestuali tra il testo di Dante e quello di Virgilio esce arricchito quando si consideri possibile (e non casuale) la presenza di ulteriori elementi dell'episodio anche in altri e meno "naturali" luoghi della Commedia. Il primo caso di riuso di Eneide 6.295-416 si trova, è noto, in Inferno 8. Scindendo in due oggetti distinti lo Stige virgiliano e scegliendo di narrare la traversata della palude stigia sulla barca di Flegiàs, la Commedia mette in parallelo da un lato l'Acheronte, cui è preposto Caronte e la cui traversata non è narrata, e dall'altro la palude, cui è preposto Flegiàs e durante la cui traversata si ha lo scambio di cortesie tra Dante ed il concittadino Argenti. Alcune delle caratteristiche del fiume virgiliano passano, connesse l'una all'altra, all'Acheronte dantesco; altre, anch'esse interdipendenti, concorrono a dare l'avvio all'episodio di Filippo Argenti. L'Acheronte di Inferno 3 deve al suo antecedente classico sia la funzione di confine fluviale tra regno dei vivi ed aldilà, con il conseguente affollarsi delle anime alla riva, sia il ritratto di Caronte. La palude del quinto cerchio ne deriva tre elementi: in primo luogo la natura di "morta gora" (Inf. 8.31/Aen. 6.296) e l'insistenza sulle "sucid e onde" (Inf. 8.10, 50, ma anche 7.110, 121, 124 ,127 e 9.64, 100; particolare, questo, non evidenziato da Inferno 3: unico generico accenno a 118); in secondo luogo la descrizione dell'imbarco e la notazione sulla pesantezza dell'inusuale passeggero (Inf. 8.27/Aen. 6.412-14); come l'Acheronte, infine, era confine tra il mondo dei vivi e l'Ade, la palude Stigia separa dal basso inferno i cerchi dei peccati di incontinenza. A questo primo "ritorno" del Caronte virgiliano ne seguono altri due, dislocati in zone del testo in cui si riaffaccia il tema del passaggio di un confine fisico. Più che una diffrazione di elementi narrativi, si ha, stavolta, un'eco verbale precisa. Nello scambio di battute tra Virgilio e Caronte, ad Aen. 6.389, il nocchiero infernale si rivolge ad Enea con parole che Dante sceglie di separare tanto dal proprio Caronte quanto dal suo doppio Flegiàs e di riutilizzare in contesti solo in parte analoghi. Vedendo che Enea si avvicina armato e temendo di ripetere l'errore commesso nei casi di Teseo ed Ercole (cfr. il rammarico delle Erinni, Inf. 9.54), Caronte grida da lontano: "Fare, age, quid venias iam istinc et comprime gressum." La minaccia è assente sia da Inferno 3 sia da Inferno 8, ma riemerge, a dieci canti di distanza dal passaggio dell'Acheronte, nella bocca del centauro Nesso: "A qual martirio / venite voi che scendete la costa? / ditel costinci, se non l'arco tiro" (Inf. 12.61-63). Il segnale linguistico più evidente della filiazione dantesca è la parola "costinci." Il termine, un latinismo crudo di cui non si hanno attestazioni prima di Dante (sarà nell'Ugurgeri 64 e 195, a tradurre proprio "istinc"), (4) ha attirato l'attenzione per primo del Daniello. Egli non solo vi ha riconosciuto una precisa eco virgiliana del contesto di Caronte al momento in cui viene sollevata la questione di attraversare il terzo fiume infernale, ma ha anche per primo indicato l'altro luogo della Commedia in cui ricompare il sintagma "ditel costinci," Purgatorio 9.85.(5) Di nuovo con il valore di un'allusione diretta all'episodio dell'attraversamento dell'Acheronte (e a questo punto, se la memoria interna della Commedia ha funzionato, anche della palude Stigia e del Flegetonte), l'angelo guardiano alla porta del purgatorio ripete le parole dell'Eneide: "Dite costinci: che volete voi?" La scena ha una struttura analoga a quella di Inferno 12: in entrambe a parlare è una figura armata a guardia di un passaggio ed in entrambe Dante si trova a dover attraversare un confine fisico tra due spazi dalle diverse connotazioni morali. Certamente, mentre il Caronte dantesco, Flegiàs e Nesso hanno in comune con il loro antecedente virgiliano più di un elemento (non ultimo il ruolo di "guardiani-vettori-agenti di punizione"), niente più che una movenza stilistica sembra legare l'angelo di Purgatorio 9 al testo di Virgilio. Una possibile conferma, però, dell'idea che qui non si tratti di una memoria involontaria e senza conseguenze di un sintagma isolato, ma di un'allusione intratestuale al contesto infernale, vorrei suggerire l'esistenza di un possibile legame funzionale tra questa ultima occorrenza del linguaggio legato a Caronte ed i luoghi dell'Inferno che ho ricordato fin qui. Bernardo Silvestre glossa Eneide 6.311-314 in termini che possono riconnettere tra loro le quattro allusioni a Caronte.(6 ) Il testo di Virgilio, nella similitudine (che sarà anche di Dante) in cui le anime che si affollano sulla riva dell'Acheronte divengono foglie mosse dal vento o uccelli migratori, recita: quam multae glomerantur aues, ubi frigidus annus trans pontum fugat et terris immittit apricis. stabant orantes primi transmittere cursum tendebantque manus ripae ulterioris amore. (Aen. 6.311-314) Il commento di Bernardo si sofferma ad interpretare il lemma "apricis"; moralizzando il passo in una direzione che forse non è estranea alla strategia allusiva dispiegata nella Commedia: APRICIS: Amenitas ultra pontum est vita queta purgatorum ultra tristiciam et luctum. (Commentum 79) Se il passaggio sulla barca di Caronte è in Virgilio la tappa obbligata non solo per chi discenda a scontare una pena nel Tartaro, ma anche per chi percorra il cammino del perfezionamento intellettuale e morale, Bernardo spiega quale sia la forza che spinge tutte le anime, anche quelle che sono destinate alla "vita queta purgatorum," a desiderare di essere traghettate oltre "la trista riviera d'Acheronte" (Inf. 3.78/Commentum 29). Un primo risultato della sua glossa è che, in Dante, l'amor ulterioris ripae si riflette tanto nella meccanica della giustizia infernale quanto nel desiderio di "ire a' martiri" manifestato dalle anime del secondo regno. Diviso tra l'angelo nocchiero del secondo canto (un'altra controfigura di Caronte, per cui cf. Purg. 2.95/Aen. 6.315 e, per contro, Inf. 3.106, 110 e 114) e l'angelo portinaio di Purgatorio 9, anche il movimento verso il purgatorio è un contesto che non esclude il rimando al passaggio dei tre fiumi infernali. Se in Virgilio Caronte è l'unico traghettatore oltre il confine della vita terrena ed il percorso attraverso l'Acheronte funziona come una metonimia dell'attraversamento degli altri fiumi dell'aldilà, Dante scioglie la metonimia ed affida a ciascuna delle figure che abbiamo visto un diverso rito di passaggio. Attraverso la diffrazione degli elementi caratteristici di Caronte, la Commedia ottiene tanto di approfondire il potenziale poetico dell'Eneide, quanto di rivederne indirettamente il contenuto morale. (1) La Commedia è citata dall'edizione a cura di Giorgio Petrocchi, La Commedia secondo l'antica vulgata, Torino, Einaudi, 1975. Per l'Eneide utilizzo l'edizione a cura di R.A.B. Mynors, Publi Vergili Maronis Opera, Oxford, Clarendon Press, 1969. (2) Francesco Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla "Divina Commedia," Firenze, Sansoni, 1967, pp. 452-55. (3) Robert Hollander, "Dante on Horseback?" Italica 61 (1984), pp. 287-96, in particolare nota 5, p. 292. (4) Ciampolo di Meo degli Ugurgeri, L'Eneide di Virgilio volgarizzata nel buon secolo della lingua, a cura di A. Gotti, Firenze, Le Monnier, 1858, p. 195. (5) Bernardino Daniello, Dante con l'espositione di M. Bernard[in]o Daniello da Lucca sopra la sua Comedia dell'Inferno, del Purgatorio et del Paradiso ... Venetia, Pietro da Fino, 1568, ad Inf. 12.63. (6) Cito il testo da Commentum quod dicitur Bernardi Silvestris super sex libros Eneidos Virgilii, a cura di J.W. ed E.F. Jones, Lincoln and London, University of Nebraska Press, 1977. |