Jonathan Usher |
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Fra i termini danteschi per descrivere la morfologia fisica dell'inferno, e perfino per indicare i vari livelli del purgatorio e del paradiso, la parola 'cerchio' ricorre spessissimo. Utilizzato inizialmente nel quarto canto per indicare il Limbo: 'il primo cerchio che l'abisso cigne' (4.24), e poi all'apertura del quinto canto: 'Così discesi del cerchio primaio | giù nel secondo...' (5.1-2), diventa rapidamente una comoda e ripetuta stenografia per la natura a gradini del luogo. I commentatori senza eccezione, dai più antichi ai più recenti, hanno accolto la scelta lessicale di Dante come se fosse pacifica, accordando più importanza all'architettura globale, alle leggi distributorie, o alla simbologia, che all'adozione del termine. Qui azzardo una possibile, provvisoria derivazione. La Bibbia offre pochissime indicazioni per elaborare una coerente struttura degli inferi. L'immaginario popolare, insieme ai molteplici derivati dei predicatori, offriva spunti, certo, ma mancava un organigramma comprensivo o comprensibile. Virgilio invece, nel sesto dell'Eneide, presenta una descrizione particolareggiata dell'Averno, anche se la sequenza di immagini e di luoghi si rivela cartograficamente insufficiente, e ambientalmente confusa (in particolare il cielo 'secondario', 6.640-641). La stretta dipendenza di Dante da questo modello classico è un luogo comune della critica. Virgilio divide l'oltretomba in zone, sia per stabilire una elementare tassonomia degli inquilini (suicidi, infanti ecc.), sia per illustrarne l'aspetto punitivo (Tartaro) o privilegiato (Campi Elisei). Gli elementi 'geografici' principali sono: una misteriosa idrografia, con un unico fiume a meandri, a volte minaccioso (palude dello Stige, Acheronte) a volte benigno ('securos latices', Lete), un paesaggio boschereccio (vari 'nemora', 'lucos'), e una città di tormenti (Dite) cinta da muraglia e fossato (Flegetonte). Virgilio, in tutti questi dettagli, non parla mai di 'cerchi'. Accenna, solo di sfuggita, alla separazione delle zone causata dai meandri dello Stige. Gli inquilini, scrive, sono circoscritti da una involuzione nove volte ripetuta della palude: novies Styx interfusa coercet (6.439) Da dove, allora, provengono questi cerchi danteschi, se Virgilio, principale fonte dell'immaginario infernale, non ne parla? Virgilio è 'fioco', ma una specifica tradizione commentativa al poema latino, ben nota a Dante, fornirebbe una tale dovizia di esempi, spesso con spiegazioni, da presentarsi verosimilmente come modello. 'Circulus' in latino, da un primitivo significato di forma tonda qualsiasi (cfr. Eneide 5.559 e 10.138 e Georgiche 3.166), acquistò ben presto una serie di significati metonimici precisi: l'orbita dei pianeti (Ovidio, Met. 2.516), le zone climatiche terrestri (Plinio, Hist. Nat. 6.34, 39, 212), o la rivoluzione annuale delle stagioni (Seneca, Ep. 12.6). In contesti umani invece denominava un gruppo conviviale o politico (Cicerone l'adopera spesso). Delle varie metonimie, la più interessante è l'orbita dei corpi celesti. Servio nel suo commento virgiliano ci ricorre frequentemente (ad loc. 1.741; 1.742; 1.745; 2.255; 3.63; 5.85; 5.735; 5.835; 6.127). Tipica dell'uso astronomico di 'circulus' è la spiegazione serviana dei riferimenti ad Atlante nel canto di Iopa, verso la fine del primo libro virgiliano:
hic quod annum in tempora diviserit et primus stellarum cursus vel circulorum vel siderum transitus naturasque descripserit, caelum dictus est sustinere (ad loc. 1.741) Per estensione, 'circulus' viene utilizzato nel commento per descrivere il sistema geocentrico delle sfere planetarie: nel secondo libro Virgilio sta descrivendo la scena notturna della finta partenza della flotta greca prima dell'apertura del cavallo di Troia. La notte è descritta 'per amica silentia luna'. Servio aggiunge, pedantescamente: nam circuli septem sunt, Saturni, Iovis, Martis, Solis, Veneris, Mercurii, Lunae (ad loc. 2.255) Da questo significato astronomico all'eventuale significato geomorfologico-infernale adoperato da Dante, il salto semantico sembrerebbe invalicabile, ma è proprio questo salto che compie Servio. Nel suo commento a Eneide 6.127 (il famoso passo dove la Sibilla spiega ad Enea le difficoltà del progettato 'descensus ad inferos', e sottolinea la sfida del ritorno) troviamo una fitta serie di riferimenti, fra cui: ergo hanc terram in qua vivimus inferos esse voluerunt, quia est omnium circulorum infima, planetarum scilicet septem, Saturni, Iovis, Martis, Solis, Veneris, Mercurii, Lunae, et duorum magnorum. (ad loc. 6.127) I due grandi cerchi anonimi sono indubbiamente lo stellatum e il Primum Mobile. Qui si vede subito, quasi come una proiezione di diapositive, il trasferimento iconografico- concettuale dal sistema astronomico a quello terrestre-morale. Nella vita terrestre, l'umanità occupa la posizione più bassa, relativa alle stelle. Dimoriamo tutti, quindi, come indica Cicerone nel Somnium Scipionis, nell'inferno dei vivi. Nonostante vari altri tentennamenti, Servio sembra adottare questa posizione sia per respingere l'idea di un Averno sotterraneo, che per facilitare la collocazione 'laterale' dei Campi Elisei alla superficie degli antipodi (così da spiegare 'razionalmente' il mistero dei 'solemque suum, sua sidera'). Si noti infine il numero dei cerchi: con l'aggiunta delle sfere sovraplanetarie, fanno nove. Non sorprenderà allora un richiamo al verso virgiliano dei nove meandri dello Stige: hinc est quod habemus 'et novies Styx interfusa coercet': nam novem circulis cingitur terra. (ad loc. 6.127) Ma il passo virgiliano sui meandri si trova a più di trecento versi di distanza (6.439). Servio ha suggestivamente fuso, dunque, passi isolati in un conscio gioco di corrispondenze concettuali. Il commento serviano servirebbe anche a chiarire il collegamento di questa struttura astronomico-infernale al sistema morale: quod autem dicit 'patet atri ianua Ditis; | sed revocare gradum superasque evadere ad auras | hoc opus hic labor est' aut poetice dictum est aut secundum philosophorum altam scientiam, qui deprehenderunt bene viventium animas ad superiores circulos, id est ad originem suam redire: quod dat Lucanus Pompeio ut vidit quanta sub nocte iaceret nostra dies: male viventium vero diutius in his permorari corporibus permutatione diversa et esse apud inferos semper (ad loc. 6.127). Servio 'comprime', dunque, il modello escatologico virgiliano per stabilire la stretta simmetria fra il destino dei cattivi e quello dei buoni. A ciascuno il suo cerchio, infernal- terrestre o stellare. In più, dichiara, con un eccesso di zelo allegorico (chiaramente 'diutius' e 'semper' non s'accordano), proprio l'irreversibilità della condizione dei cattivi: prigionieri del corpo, non possono mai sperare di 'riveder le stelle'. Già scorgiamo la fondamentale architettura della Comedìa dantesca, con l'opposizione vistosamente simmetrica fra i 'circolari' Inferno e Paradiso. Ma come inserire il concetto 'difficile' (e alludo naturalmente ai noti studi di Le Goff) del purgatorio? Anche qui Servio ci aiuterebbe. Nel quinto dell'Eneide, Virgilio fa venire Anchise in sogno a Enea. Il padre dice al figlio di cercarlo in Averno, dove abita gli 'amoena piorum | concilia Elysiumque'. Servio commenta: secundum philosophos elysium est Insulae Fortunatae, quas ait Sallustius inclitas esse Homeri carminibus, quarum descriptionem Porphyrius commentator dicit esse sublatam: secundum theologos circa lunarem circulum, ubi iam aer purior est: unde ait ipse Vergilius 'aeris in campis', item Lucanus non illuc auro positi, nec ture sepulti perveniunt. (ad loc. 5.735) Dunque già l'idea di una isola, agli antipodi, sotto la luna, ma con aria più pura (più eccelsa?), dove passano le anime che soddisfanno certe precondizioni (morali, non finanziarie), prima di ritrovare le stelle. Un altro passo serviano completerebbe il quadro. Virgilio sta descrivendo la morte di Palinuro, 'gubernator' di Enea, caduto in mare e poi ucciso. Agli inferi Enea stenta a riconoscerlo, tanto l'oscurità, dovuta alla nebbia e alla debole illuminazione lunare, gli nasconde i tratti del viso. Il commentatore scrive: inde quod aliae animae lunarem circulum, aliae solstitialem retinere dicuntur pro modo purgationis (ad loc. 6.340) È un intervento allegorico audace: se il povero Palinuro è illuminato solo dalla luna, altri altrove, più 'eroici', possono ricevere in pieno i raggi solari. Ma ci interessa qui, oltre la rudimentale moralizzazione, il termine per la procedura di 'rimessa in vita' (su cui discorrerà pienamente Anchise, 6.724 ss.). Servio scrive proprio 'purgatio' (termine mai adoperato da Virgilio). Che volesse indicare proprio una rituale, localizzata purificazione per poter 'remeare' alle stelle lo indica l'inizio del commento a questo verso: prudentiores dicunt animos recentes a corporibus sordidiores esse donec purgentur: quae purgatae incipiunt esse clariores [...] bene ergo Palinurum obscura umbra circumdatum dicit et vix agnitum, qui ne ad loca quidem pervenerat purgationis (ad loc. 6.340). Per Palinuro la purificazione resta da fare: l'anima porta tuttora le macchie corporali. Servio ripete quanto aveva detto a proposito delle Isole Fortunate, sopra: elysium est ubi piorum animae habitant post corporis animaeque discretionem: unde et 'interitus' dicitur res 'inter' animam et corpus 'veniens'. Ergo Elysium apo tes lyseos ab absolutione (ad loc. 5.735) La localizzazione del 'purgatorio' sotto il cerchio lunare, agli antipodi, con un preciso scopo morale, rientrerebbe, quindi, nello stesso sistema 'circolare' degli altri due regni oltremondani. Questo spostamento laterale dei Campi Elisei alla superficie terrestre non toglierebbe a Dante il diritto di ricollocare, seguendo Virgilio questa volta e non Servio, gli inferi punitivi sottoterra. Stabilita geografico-moralmente l'isola purgatoriale, basterebbe aggiungere dei gironi alla montagna per completare il parallelismo. Dante per il suo poema avrebbe potuto prendere in affitto un 'prefabbricato' a tre piani, ma, se è così, l'ha arredato a sua maniera. È un'ipotesi allettante: tramite la metafora orbitale, Servio fornirebbe paralleli, possibili spiegazioni, perfino il termine. In ogni caso, i 'cerchi' danteschi, 'inventati' (o meno) da Servio, saranno suggestivi: verranno riattribuiti esplicitamente, ma erroneamente, a Virgilio dallo stesso Petrarca (Fam. 14.1, 15). |