Antonio Soro |
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Identificato in precedenza l’acrostico inverso PESCE [1], proponiamo adesso all’attenzione della critica un altro acrostico inverso alle iniziali di tutte le terzine di Purg. XXVIII, 25-37: ECATE.
Noi riteniamo che l’acrostico funga da complemento informativo alle
terzine relative alla «bella donna», la cui identità, in realtà, non
andrebbe ricercata ‘esclusivamente’ nel nome di Matelda pronunciato da
Beatrice in XXX, 119. Il mistero si risolverà nel canto seguente, dove Dante si troverà dinanzi a quelli che, al v. 43, dapprima gli paiono «sette alberi d’oro». Ma la sorpresa sua e di Virgilio saranno un tutt’uno: quella conoscenza antica, simboleggiata dai celebri alberi e già nota in relazione ai misteri eleusini, viene reinterpretata da Dante secondo il criterio già spiegato da Robert Hollander, che vede le similitudini dantesche regolate dall’allegoria storico-teologica, e non da quella poetica. Il mito virgiliano è così ‘inculturato’ dal poeta fiorentino nella tradizione cristiana, e l’«aurea tecta» di Aen. VI, 10-13 non è più un tempio pagano. Poiché Virgilio non si aspettava di trovare candelabri dove nella sua opera parlava di «arbore fetus», Dante osserva che il suo maestro «rispuose / con vista carca di stupor non meno».[5] Ed
è dunque ad Ecate che Dante, già dal v. 28, va lentamente
approssimandosi, mentre l’ambiente circostante si aggrazia sempre più
per la presenza della «bella donna»: il «rio» che sbarra la strada al
poeta incrociandosi con essa, che « ’nver’ sinistra con sue picciole
onde piegava l’erba», segna un tratto del percorso dantesco davvero
emblematico: Dante non poteva davvero presentare meglio la «Trivia» [6] che, oltre ad essere associata alla primavera, era signora dei crocevia.
Dante è cosciente della triplice identità ‘tremenda’ della donna. Egli sa di aver a che fare con la «Trivia», e sembra provare una comprensibile paura: la triplice natura di Ecate, infatti, era dichiarata espressamente dal poeta latino in Aen. IV, 609, dove parla di «Hecate triviis ululata per urbes». Non a caso, però, al v. 35 Dante parla di «rimembrar»: se infatti Ecate – la dea psicopompa che viaggia per i tre mondi – si rivela anche come Proserpina, in prossimità dell’Eden tale manifestazione è assente. La teofania di Purg. XXVIII è benigna; ed è Ecate – vera ‘janua coeli’ – la donna «soletta» che Dante ha dinanzi, e che compare in quella che è la solitudine del suo mitico destino in quanto Proserpina (fu rapita da Dite proprio mentre coglieva i fiori, come racconta Claudiano). Così, Dante la descrive sublimando quel drammatico evento, poiché la discesa ad inferos è da lui colta nell’essenzialità cristiana dell’evento:
In un’atmosfera di dolcezza e gioia, niente affatto consona al volto infernale di Proserpina e al suo triste destino, trovandosi Dante nel luogo della Caduta originale – sommo dramma dell’umanità – l’associazione tra la beatitudine perduta e il personaggio infernale è scontata. Tuttavia, come scrive il Lansing, la «bella donna» «assures Dante that this is Eden, Eden as it was before the Fall, and an Eden to which man attains without fear of being dispossessed a second time of the bliss that he confers».[8] Non essendoci perciò alcuna relazione fra la sua presenza e la caduta ad opera di Adamo ed Eva, ella, colti la sorpresa e il dubbio in Dante e Virgilio, spiegherà:
Il comportamento della donna, che va «scegliendo fior da fiore», pare essere direttamente ispirato dal De raptu Proserpinae di Claudio Claudiano, dove, scegliendo «electis herbis … ratorum spoliatur honos: haec lilia fuscis intexit violis: hanc mollis amaracus ornat; haec graditur stellata rosis, haec alba ligustris»[10]. Si potrebbe obiettare che il nome rivelato da Beatrice nel XXXIII canto è notoriamente quello di Matelda e non, appunto, quello di Ecate; si tratta però di una tarda rivelazione, sicché alcuni commentatori si son chiesti invano perché Dante abbia deciso di rendere noto il suo nome solo alla fine della cantica.[11] Bene scrisse l’Hollander [12] quando notò che la lettura ortografica ‘al contrario’ [sic!] del nome di Matelda è in realtà un predicativo, e suona come “ad laetam” o “ad letam”, cioé Colei che conduce al leté, o Colei che conduce alla felicità. Tale era la funzione vera di Ecate, la quale apriva o chiudeva il passaggio ai mortali verso il mondo ultraterreno. Ai versi 64-66, Dante comunicherà la luminosità dello sguardo di Ecate, forse avendo presente che ella, presso gli antichi, era nota come Lucifera, appellativo che veniva dato anche a Venere:
Possiamo ora leggere quelle terzine con un’impressione nuova, cogliendo già, nelle iniziali che scorrono tra i versi descrittivi di immagini naturali, la presenza benigna di colei che conduce l’uomo a nuova vita – dapprima per mezzo del dolore e passando attraverso il peccato, lungo la via della croce; in seguito, guardandoci con occhi amorosi, nel giubilo del ritorno a una purezza che era andata perduta – per restituire ai redenti la sublime visione della verità che la colpa originale ha nascosto alle menti, ma che gli infallibili testi della Rivelazione custodiscono nella fede sino alla parusía degli ultimi tempi. [1] Si veda Antonio Soro, “PESCE” in Par. V, 97-109: un acrostico inverso,” February 15, 2009: www.dantesociety.org/publications.html | EBDSA |Paradiso. [2]Caii Plinii Secundi, Historiae naturalis. Libri XXXVII, a cura di Jo. Bf. Steph Ajasson de Grandsagne, Paris, Colligebat Nicolaus Eligius Lemaire, 1829, 379. [6] Par. XXIII, 26-27; termine che compariva in Aen. VI, 13: 35, 69; inoltre VII,778, dove si parla del «templo Triviae lucisque sacratis». [7] R. H. Lansing, From Image to Idea. A Study of the Simile in Dante’s Commedia, Ravenna, Longo, 1977, 140. [10] C. Claudianus, De Raptu Proserpinae, II, 127-130. [12] R. Hollander, "The Women of Purgatorio", in Allegory in Dante’s Commedia, Princeton, Princeton University Press, 1969, 152, n. 18 osserva che «Dante spelled the name with e rather than an i, so that it will spell ad laetam (“toward joy”) backwards, or nearly so», facendo riferimento a J. Goudet, "Une nommée Matelda ...", Revue des études italiennes, 1 (1954), 20-60, per la trovata ad laetam. |