Roman Manescalchi Libertà va cercando: Lettera aperta agli studiosi di Dante |
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Le note che seguono vogliono essere un invito al dialogo su di un passo controverso e cruciale del Purgatorio. Di recente ho avanzato una nuova interpretazione di Catone, interpretazione che esclude – dico “esclude” - che a Purg. 1.71-75 si parli di “libertà politica”.[1] Alla redazione del saggio diedero la loro collaborazione G. Barberi Squarotti, nonché, con anche specifici suggerimenti, R. Hollander[2] e L. Pertile.[3] Il nucleo centrale della mia interpretazione riguarda Purg. 1.71-74, che leggo così: Va cercando quella libertà che è così preziosa come sa bene colui che, “per lei”, per essa, per raggiungerla, (dativo di fine) “vita rifiuta”. Tu lo sai bene dal momento che, «per lei», in grazia di essa, per il fatto che l’avevi raggiunta, poiché quella libertà da ogni terreno condizionamento la possedevi (con valore causale del “per”),[4] non ti fu “amara” la morte in Utica, cioè, essendo già “morto” moralmente dentro di te, non provasti sofferenza alcuna nell’affrontare la morte fisica. Anche il primo “per lei” può avere valore causale e, in questo caso, avremmo: Va cercando quella libertà che è così preziosa come sa bene colui che, “per lei”, ovvero “in virtù di lei”, “grazie alla”, “in virtù della” libertà (morale) raggiunta”, è in grado di “rifiutare” la vita: di fuggire nei deserti o in un chiostro, come Piccarda, “rifiutando” non la vita fisica, ma un determinato stile di vita per adottarne un altro di più alto livello. Qui, insomma, il “rifiutare la vita” avrebbe il significato che troviamo usualmente nel linguaggio mistico ed ascetico e la Commedia racconta appunto un itinerario mistico ed ascetico a Dio. Questa nuova interpretazione ha trovato riscontro in alcuni contributi recenti, con diversi gradi di accettazione. Ad esempio, R. Hollander,[5] che incentra la discussione soprattutto sul fatto che Catone non avrebbe potuto fare parte dell’impianto dell’opera, da me ipotizzato nel periodo fiorentino, prima del Convivio, poiché non sarebbe «presente nei primi sette canti dell’Inferno».[6] La questione, pur non toccando le argomentazioni a sostegno della nuova interpretazione, è rilevante nello stabilire l’importanza del personaggio. Contribuirò al chiarimento del problema con altro lavoro, oltre quanto da me già detto.[7] Analogamente, L. Pertile[8] tratta di un corollario, riguardo al quale chiede ulteriori spiegazioni, per cui vd. oltre. V. Boggione,[9] a sua volta, dedica un’ampia e dettagliata disamina al problema della nuova interpretazione di Catone ed avanza, unico, un’obiezione, per cui vd. oltre. C. di Fonzo, infine, dedica a questa interpretazione la lucida nota 48 nel suo saggio su Inferno 6.73.[10] In successivi miei interventi al riguardo, ho affrontato il problema da angolazioni nuove, rispondendo alle richieste di chiarimenti e alle critiche dei colleghi. Nel mio saggio Purgatorio 1.71-74: perché non si può parlare di libertà politica (cit.) ho presentato, approfondendola, la nuova interpretazione, basandomi soprattutto sull’analisi grammaticale sopra riportata e segnalando varie altre contraddizioni. Un altro contributo, dedicato fornire elementi di natura contestuale a supporto della tesi, si può leggere in Il Catone dantesco in Bosone da Gubbio: e una nuova concezione del Purgatorio?[11] Rivolto ai penitenti purgatoriali Bosone dice: «e, perchè i lor voler sien bene acuti /e liberi di far ciò che lor piace,/vuol ch’uom per libertà vita rifiuti:[12] Catone “vuole” che i penitenti facciano un suicidio, certamente morale e non fisico. Catone vuole (nel senso di “esigere”) che i penitenti arrivino a fare una oblazione di sé; e lui è loro guida perché questa oblazione l’ha fatta in vita se è vero che «nec sibi, sed toti genitum se credere mundo» (Phars. 2.383), «che non a sé, ma a la patria e a tutto lo mondo nato esser credea» (Conv. 4.27. 3). Più specificamente dedicato ad un’analisi dei valori etici sottesi al sintagma “vita rifiuta” è il mio Ancora su Catone ed il sintagma “vita rifiuta”.[13] L’espressione “vita rifiuta,” sostengo in questo saggio, è inappropriata a chi “dona”, “sacrifica”, “immola” la vita per la libertà politica, come avrebbe fatto Catone, come fanno tanti monaci buddisti, come ha fatto Jan Palach[14]: non “un rifiuto della vita” il loro, ma «un sublime gesto d’amore, un inno alla vita, un inno a Dio» (Ivi, p. 420). S’addice invece al linguaggio mistico indicante la morte morale dell’asceta.[15] Due ultimi contributi si muovono sulla stessa falrsariga, connettendo il testo dantesco al suo probabile contesto filosofico e artistico. Nel primo, La concezione di Catone in Virgilio, in Lucano e in Dante,[16] sostengo che la “salvezza” di Catone non è una “invenzione” dantesca, ma, già radicata nella tradizione latina ed accettata nel Convivio, a Purg. 1.71-75 viene semplicemente confermata. È in questo articolo che ribatto più dettagliatamente l’obiezione di Boggioni: sostenere che non gli sarebbe stata “amara” la morte perché lottava per la libertà politica, significa sostenere che se non avesse avuto quella motivazione, la morte “amara” gli sarebbe stata. Ma questo contraddice tutta la cultura stoica per cui la morte, «quandoque»[17] arrivi, non scalfisce la serenità e l’imperturbabilità del sapiens: «Qui mori didicit, servire dedidicit»,[18] Credere il contrario è un errore che non mi sento di attribuire a Dante. Nell’ultimo, intitolato Il «Cristo lieto» (Purg. 23.74) a confronto con analoghe rappresentazioni,[19] approfondisco il tema della “divinizzazione” di Catone fatta da Lucano che porrebbe, consapevolmente, Catone al di sopra di Cristo, «as a boastful countering of Christ».[20] Da questo antecedente classico sarebbe venuta una spinta sotterranea che, per rivalutare l’immagine del Cristo, avrebbe prodotto questi Crocifissi che “sorridono” ed il «Cristo lieto» di Purg. 23.74, immagine che non ha avuto, nonostante il secolare lavoro, una spiegazione convincente. La conoscenza di queste sculture lignee dell’epoca immediatamente predantesca, di cui non è impossibile che Dante avesse conoscenza, nonché il lavoro di Lucano su Catone, consentono di impostare il discorso su basi nuove e solide. Il Cristo di Dante non è mai “patiens” e giustamente Pertile, a cui, concorde con tale tesi, anche rispondo, si chiede «… da dove la prende Dante l’idea di un Cristo che muore lieto sulla croce, e della crocifissione come festa nuziale?»[21] Ponendo il testo di Dante alla confluenza di queste varie correnti di pensiero, il valore delle parole che Virgilio rivolge a Catone potrebbero apparire in una luce più precisa. L’interpretazione dell’episodio di Catone ha conseguenze che vanno al di là della semplice glossa locale. Potremmo trovarci, cioè, di fronte ad un bivio interpretativo, un momento in cui il testo ci invita a seguire con decisione un’opzione ermeneutica precisa. La scelta che operiamo in questo contesto per una lettura spirituale e non politica della ‘libertà’ perseguita da Catone si conformano bene a un’interpretazione globale dell’opera: quest’opera racconta di un cammino a Dio per raggiungere la “libertà morale”, solida base onde «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis».[22] La libertà politica non sembra essere rilevante in tutto ciò. Amici, sommuovere radicalmente la tradizione, anche riguardo posizioni che si giudicavano definitivamente acquisite, non è impresa «da pigliare a gabbo» (Inf. 32.7). Potrò condividerne il peso con altri? [1] R. Manescalchi, Una nuova interpretazione del Catone dantesco,[1] «Critica Letteraria», xxxvi 140/2008, pp. 419-446, poi in Id. Studi sulla Commedia, Le tre fiere, Enea, Ciacco, Brunetto, Catone, Piccarda ed altri problemi danteschi, Napoli, Loffredo, 2011, pp. 133-160. Trarremo le citazioni dalla pubblicazione del saggio in volume. [2] Ivi, p.150, n. 34. [3] Ivi, p. 151, n. 37. [4] Sul “per” vd., Ivi, p. 140, n. 15. Per un esempio vd.: «Per te poeta fui, per te cristiano» (Purg. 22.70). Entrambi i “per lei” si riferiscono alla “libertà” che Dante “va cercando”, indiscutibilmente quella morale. [5] R. Hollander, Ancora sul Catone dantesco, SD, lxxv, 2010, particolarmente pp. 189-90; Vd. poi la versione inglese, più estesa, del saggio, Dante’s Cato again, in Dantean Dialogues, Engaging with the Legacy of Amilcare Jannucci, M. Kilgour and E. Lombardi, University of Toronto Press, 2013, pp. 66-124, di cui vd. p. 98, n. 13; p. 108, n. 50; p. 110 n. 55. [6]Id., Ancora sul Catone dantesco, cit., p. 189; concetto ripetuto - «not mentioned in the first seven cantos» - in Id., Dante’s Cato again, cit., p. 98. Si fa riferimento ai “Sette canti” fortunosamente ritrovati, di cui parla il Boccaccio all’inizio del canto ottavo dell’Inferno. [7] R. Manescalchi, Purgatorio 1.71-74: perché non si può parlare di libertà politica, SD, lxxviii, 2013, p. 369ss. [8] L. Pertile, Sul dolore nella Commedia, in Letteratura e Filologia fra Svizzera e Italia. Studi in onore di Guglielmo Gorni, a c. di M.A. Terzoli, A. Asor Rosa, G. Inglese, I, Dante: La Commedia e altro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010, p. 111. [9] V. Boggione, La custodia, la vera libertà, la colpa, la pena, ancora sul Catone dantesco, GSLI, vol. CLXXXIX, anno CXXIX, fasc. 626, 2012. [10] C. di Fonzo, Giusti son due e non vi sono intesi, «Forum Italicum», 2010, i, p. 34. [11] Saggio pubblicato su LIA, xvii, 2016, pp. 119-130. [12] Capitoli di M. Bosone da Gubbio e di Jacopo Alighieri sulla Divina Commedia di Dante Alighieri. Col credo di questo poeta, e un altro d’incerto autore. E con alcune notizie biografiche su Bosone, con varianti e annotazioni. Napoli, Stamperia Francese, 1829, p. 69, (vv. 64-66). [13] Saggio pubblicato su «Critica Letteraria», xliii, 168-169/2015, pp. 417-422. [14] Il 16 gennaio 1969, ventenne, si arse vivo per difendere la libertà. [15] Un esempio: Eucherio di Lione (sant’), Il rifiuto del mondo. De contemptu mundi, EDB, 1990. [16] Saggio pubblicato su «Campi Immaginabili», 52/53, 2015, pp. 5-19. [17] Ad Lucilium, 26.10. [18] Ibidem. [19] Saggio pubblicato su PDT, xx, 1-2, 2016, pp. 23-40. [20] R. Hollander, Dante’s Cato again, cit. p. 110: vd. tutta l’interessantissima nota». [21] L. Pertile, op. cit., p. 111. Poco oltre specifica «… un Cristo che, secondo Dante, muore lieto e ad alte grida sulla croce», Ibidem. Le «alte grida» (Par. 11.32) sarebbero – cfr. Una nuova interpretazione…, cit., p. 151 - le grida di giubilo del matrimonio tra Dio e l’umanità, come nel Cantico dei Cantici! [22] Ep. XIII 39 [15]. |