Gianni Vinciguerra |
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Una consolidata tradizione interpretativa rintraccia cospicua la presenza della musica nei primi canti del Purgatorio, dove assistiamo nel rinnovato ordine cosmologico produttore di musica mundana, al recupero della sintonia e della fibra armonica del testo.(1) Ma questa ritrovata dimensione musicale ritengo si propaggini sin nelle pieghe del canto: infatti nel segno di croce eseguito dal celestial nocchiero sulle anime penitenti al termine del canto corale di In exitu Israel, può esser letta, sulla scorta di Tertulliano, un'esecuzione musicale (modulabantur Christi). Alla natura musicale del signum crucis allude anche Nicezio, che nel De Psalmodiae bono (PL 68 col. 371) vede nella cetra di Davide "figura crucis Christi, quae in ligno et extensione nervorum mysticae gerebatur". Del resto è la stessa epifania dell'angelo che officia il rito del sacramentum crucis ad essere presentata in termini musicali, venendo assimilata all'accendersi dei vapori di Marte nel cielo ficto della similitudine che introduce l'approssimarsi del vasello snelletto e leggero. Secondo il sistema delle sfere delineato nel Convivio, Dante assegna al cielo di Marte la nota mediana, cioè la chiave di volta dell'armonia cosmica, associando le sue proprietà a quelle della musica. Con il tramite di questa sovrapposizione analogica, davvero il celestial nocchiero, comparso sotto il segno di Marte, nasce alla Musica, restituendola al testo: il suo profilarsi è l'overture di un circuito melodico di cui il segno di croce è il movimento finale. Non sfugga che è nel cielo di Marte che Dante assiste all'apokalipsis della crux Christi, definita in termini musicali in quanto strumento summativo e totale -- "giga e arpa", Par. XIV 118; "lira", Par. XV 4 -- modulato dalla "destra del cielo" e produttore di armonia cosmica. Anche Riccardo di San Vittore nelle Allegoriae in Vetus Testamentum accosta la croce alla cithara: "David adhuc puer in cithara suaviter, imo fortiter canens, malignum spiritum qui exagitabat Saulem compescebat: non quod eius cithara tantam virtutem haberet, sed figura crucis Christi, per lignum et chordarum extensionem mysticae gerebat, quae tunc daemones effugebat" (PL 175 col. 692) Inoltre una tradizione esegetica sviluppatasi intorno ai salmi 32 (33) e 143 (144), sulla scorta del monogramma cristologico X, interpreta il salterio decacordo come una figurazione allegorica del corpo di Cristo sulla croce che sostituisce ai decem praeceptae legis di Mosè un nuovo armonico ordine cristologico. Lo Pseudo-San Bonaventura nelle ultime parole di Cristo crocifisso rintraccia l'eco di uno strumento eptacordo e aggiunge: "Cithara tibi factus est sponsus, cruce habente formam igni; corpore autem suo vice supplente chordarum per ligni planitiem extensarum" (Vitis Mistica, PL 184 col. 655). Alla luce di questi rilievi, la musicalità che risuona dal segno di croce eseguito dall'angelo nocchiero dinanzi alle anime che di lì a poco intraprenderanno la peregrinatio purgatoriale, oltre a consuonare con la ritrovata armonia dal canto e della Voce, risarcisce della distonia anche la citazione infernale dell'incipit dell'inno alla croce di Venanzio Fortunato, Vexilla regis prodeunt (assegnato dal rito romano al Venerdì Santo, giorno in cui la liturgia della parola è sostituita dalla cerimonia dell'adorazione della croce), che, nella mistificazione testuale prodotta dall'intrusione di inferni, si offre quale parodico blasone della grottesca crux diaboli che pervade il XXXIV canto dell'Inferno. Le tre teste di Lucifero gemmate da un unico tronco sono state assimilate da Ch. Singleton al patibulum, cui si allude nell'inno di Venanzio proprio come sinonimo della croce: "suspensus est patibulo". A riproporre l'immagine della crocefissione, al di là dell'accenno al "molin che vento gira", interviene anche la similitudine tra le ali di Lucifero e le vele di una nave(2) Sotto ciascuna uscivan due grand'ali
Una tradizione esegetica diffusa presso gli allegoristi cristiani vede nell'albero maestro traversato dal pennone che sorregge la vela, l'immagine della croce di Cristo, lignum in pelago saeculi huius (Onorio di Autun, De exaltatione sanctae crucis, PL 172 col. 1002), che governa la nave della Chiesa. Già in Minucio Felice leggiamo: "Signum sane crucis naturaliter visimus in navi, cum velis tumentibus vehitur" (Octavius 29 6-8).(3) Nel vasello snelletto e leggero, sarà allora da riconoscere l'immagine della comunità ecclesiale che strettasi intorno al lignum crucis entra nel porto di salvezza: "et sic Ecclesia ligno vecto flamine Spiritus sancti turgentes mundi fluctus secura transnavigat et optetum perhennis vitae portum gaudens applicat" (Onorio di Autun, De inventione sanctae crucis, PL 172 col. 944). Allo stesso modo Massimo di Torino nell'omelia De cruce Domini (PL 57 col. 311). La valenza salvifica della croce è particolarmente funzionale a significare l'affrancamento dall'aura morta infernale e l'uscita dall'acqua perigliosa, l'approdo finale dal pelago alla riva, sulla scorta dell'omiletica patristica: "Hoc, inquam, dominico signo etiam reserantur inferna" (Massimo di Torino, PL 57 col. 344) e ancora "Per crucem quippe diabolus est captivatus, mundus liberatus, infernus despoliatus...sancta crux facta est nobis clavis caeli, fortis destructio inferni" (Onorio di Autun, PL 172 col. 1001). Prefigurata nella virga mosaica, la croce si carica anche di risonanze battesimali, amplificate dalle implicazioni lustrali dei primi canti purgatoriali: "Virga haec est sancta crux" (Onorio, PL 172 coll. 943-44). Il signum salutis proietta la sua umbra sull'esodo della casa d'Israele dall'Egitto, nel quale va riconosciuta la struttura profonda del prologo delle prime due cantiche: nei canti esordiali del Purgatorio quell'esodo si compie e le anime condotte dal vasello accompagano il momento finale del loro exitus equoreo con il canto di In exitu Israel. Nel signum crucis di Purg.II, va riconosciuto il luogo di una strategia di significazione più ampia, un circuito ad alta referenzialità, nella cui filigrana s'indovina un mosaico di reminiscenze e allusioni. Di inquietante intensità è la sovrapposizione del bianco vasello purgatoriale assimilabile alla navis Ecclesiae guidata dall'arbor crucis con la stultifera navis di Ulisse, condannata dalla sua folle direzionalità, a convertire la propria rotta in una definitiva navigazione ctonia. Gli allegoristi cristiani vedono in Ulisse dinanzi alle sirene, legato all'albero maestro di Odissea XII 160-62 una prefigurazione del mistero di Cristo sulla croce (si confronti il già citato sermone di Massimo di Torino (PL 57 col. 339). Dietro il vasello guidato dall'ammiraglio celeste, quasi arbor crucis, ritto sulla poppa ("da poppa stava il celestial nocchiero" (43) a ribadire la torsione rispetto all'iter ulissiaco, "volta nostra poppa nel mattino" di Inf. XXXIV 124(4)) s'indovina la sagoma della "piccioletta barca" sospinta dalla propria oltranza transmarina, che riceve la spinta propulsiva dal flatus della voce di Ulisse, non più figura Christi, ma quasi nuova sirena. La montagna dell'Eden non tollera approdo promosso solo da "argomenti umani": il remigium alarum di Ulisse diventa scomposto sforzo dinanzi alla leggerezza del nocchiero "che remo non vuol ne' altro velo che l'ali sue tra liti sì lontani" (32-33). Del resto al di là della sovrapposizione di immagini, a stringere l'esordio purgatoriale ed Inf. XXVI interviene una cospicua trama di rimandi ad autocitazioni la cui suggestione è stata colta già dai commentatori antichi.(5) Sbarcati dal vasello e quindi scioltisi dall'arbor crucis, ma ancora peregrini in statu viae, le anime e Dante si lasciano irretire dal seducente canto di Amor che nella mente, forse davvero canto di Sirene alla cui dolcezza e musicalità converrà opporre il dulce lignum della croce/cithara.(6)
1. Cfr. A.A. Iannucci, "Musica e ordine nella Divina Commedia (Purgatorio II)", Studi americani
su Dante, a cura di G.C. Alessio e R. Hollander, Milano, Franco Angeli, 1989, 87-111.
2. Si veda Ch. S. Singleton, "Simbolismo", in Id., La poesia della "Divina Commedia", Bologna, Il
Mulino, 1978, 54-67; cfr. anche J. Freccero, "Il segno di Satana", in Id., Dante. La poetica della
conversione, Bologna , Il Mulino, 1986, 227-244; S. Prandi, Il Diletto Legno. Aridità e fioritura
mistica nella "Commedia", Firenze, Olschki, 1994.
3. Cfr. H. Rahner, Miti greci nell'interpretazione cristiana, Bologna, Il Mulino, 1971, spec. il cap.
"Odisseo all'albero maestro", 357-418.
4. Cfr. R. Hollander, Allegory in Dante's "Commedia", Princeton: Princeton University Press, 1969,
122.
5. Tra i moderni si citani qui per tutti G. Gorni, "La nuova legge del Purgatorio", insieme a "Le 'ali' di
Ulisse", entrambi in Lettera Nome Numero, Bologna, Il Mulino, 1989 e M. Corti, "La favola di
Ulisse: invenzione dantesca?", in Percorsi dell'invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Torino,
Einaudi, 1993, 113-145. Rintaccia evidente eco di Ulisse nella figura del nocchiero R. Hollander,
"Purgatorio II: the New Song and the Old", Lectura Dantis VI (Spring), 1990, 28-45.
6. Cfr. J. Freccero, "Casella's Song (Purg. II 112)", Dante Studies 91(1973), 73-80 e R. Hollander,
"Cato's Rebuke and Dante's scoglio," Italica 52 (1975), 348-363. Fondamentale per l'esegesi qui
proposta J.T. Schnapp, The Transfiguration of History at the Center of Dante's "Paradise",
Princeton, Princeton University Press, 1986.
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